Abitudini: non esiste una formula magica…
La cosa “difficile”, quando si studiano le abitudini, spiega Charles Duhigg, è che non esiste una formula magica. Trasformarle è possibile, anche quando molto radicate, ma non esiste una soluzione immediata, nonostante gli studi neuroscientifici abbiano ormai individuato i pattern di funzionamento e le dinamiche che le regolano.
…ne esistono tante
O meglio, spiega lo studioso, non è che questa formula non esista: è che non ne esiste una soltanto. Ce ne sono migliaia. Le abitudini differiscono in ogni individuo, ne esistono di collettive e legate alle diverse organizzazioni e ai contesti. Proprio per questo, cambiarne i meccanismi di funzionamento varia da persona a persona e dipende dai contesti in cui si vive, dai comportamenti applicati e da numerosi fattori esterni. Ogni abitudine è stimolata da un desiderio, anch’esso differente da individuo a individuo.
Un framework in 4 step per agire sulle abitudini
“Il cambiamento può non essere veloce e di certo non è sempre facile.
Ma con il tempo e l’impegno, pressoché ogni abitudine può essere rimodellata.”
Per comprendere meglio il funzionamento della grande varietà di abitudini e capire quali sono le azioni efficaci, individuate nel corso degli anni da studi scientifici, per agire su di esse, sia a livello individuale, sia a livello collettivo all’interno di aziende e organizzazioni, Charles Duhigg – autore di The Power of Habits, redattore del New Yorker Mag e Premio Pulitzer – ha sviluppato un framework in 4 step.
1. Identifica la routine
I ricercatori del MIT hanno studiato il loop neurologico che sta alla base di ogni abitudine: un semplice processo che parte da un segnale, al quale segue una routine, seguita a sua volta da una ricompensa.
Ecco perché il primo passo per attivare un processo di cambiamento dell’abitudine è, secondo Duhigg, quello di identificare i componenti del “nostro” loop, o del loop che regge l’abitudine da modificare nel nostro team aziendale. Una volta identificato, sarà possibile sostituire questo circolo vizioso con uno più virtuoso, per avere un impatto migliorativo su uno o più comportamenti e innescare routine più efficaci e produttive.
La routine, oltre ad essere il primo componente da identificare, è anche il più semplice: è il comportamento stesso che vogliamo cambiare. Ciò che è meno ovvio, tuttavia, è il segnale: che cosa ha davvero innescato questa routine? Altro fattore non scontato è la ricompensa: di che cosa si tratta? Per approfondire questi altri due fattori determinanti nella formazione e nel funzionamento di ogni abitudine, continua Duhigg, occorre sperimentare e passare al secondo step.
2. Sperimenta con le ricompense
Le ricompense sono un fattore estremamente potente perché hanno la funzione di appagare un desiderio. Il fatto è che non sempre siamo consapevoli dei desideri che innescano i nostri comportamenti e, tantomeno, quelli degli altri. Duhigg racconta che quando il marketing di Febreze, un popolare brand che commercializza deodoranti tessili, scoprì che i consumatori desideravano che alla fine delle loro pulizie ci fosse un determinato odore di fresco, quel desiderio non era affatto palese. Nessuno fino a quel momento lo aveva scoperto, era nascosto in piena vista. E così agiscono moltissimi desideri: ciò che oggi ci sembra molto banale guardandoci indietro, spesso è rimasto nascosto e latente per molto tempo.
Per individuare quali desideri costituiscono la “miccia” di determinate abitudini, Duhigg consiglia di sperimentare con diverse ricompense, in un arco temporale definito in cui è importante non esercitare ancora pressione su se stessi o sul team per vedere nel concreto un cambiamento. Si tratta di un periodo di testing e di raccolta dati.
Di che cosa andiamo davvero in cerca?
Durante i giorni di test, i tentativi da fare appena si innesca la routine, consistono nel modificarla leggermente in modo che porti ad una ricompensa diversa dalla solita. Se siamo abituati ad alzarci ad una determinata ora per prendere un caffè, proviamo ad alzarci, fare una breve passeggiata e tornare alla scrivania. Il giorno dopo possiamo provare ad alzarci, prendere una bevanda differente e berla alla scrivania. Il giorno successivo ancora possiamo alzarci, comprare un frutto, consumarlo in un breve break con i colleghi e tornare alla scrivania. Dopo ancora possiamo provare ad alzarci, fare quattro chiacchiere con i colleghi e poi tornare al nostro posto.
Il punto non è tanto capire come sostituire il caffè: il punto è testare diverse ricompense per capire qual è il vero desiderio che dà vita alla routine che vogliamo modificare. Vogliamo davvero quel caffè o vogliamo solo una pausa? Abbiamo bisogno di energia o necessità di un momento di socializzazione?
15 minuti per comprendere il desiderio
Mentre testiamo diversi tipi di ricompensa, Duhigg suggerisce una tattica per andare alla ricerca di pattern ripetitivi: dopo ogni attività può essere utile appuntare su carta le prime tre cose a cui pensiamo appena, nel caso dell’abitudine di cui sopra, torniamo alla nostra scrivania. Possono essere emozioni, pensieri, riflessioni o le prime tre parole che ci vengono in mente. Poi puntiamo una sveglia dopo 15 minuti. Quando suonerà ci domanderemo: sento ancora bisogno di quel caffè?
Questo esercizio pratico è molto efficace, secondo il giornalista, poiché innanzitutto ci forza a riservarci un momento di consapevolezza. In secondo luogo, numerosi studi confermano ormai che l’esercizio di scrittura aiuta, in generale, a ricordare successivamente ciò che stavamo pensando nel momento in cui lo abbiamo svolto. Alla fine della fase di testing con le ricompense, sarà molto più facile ricostruire i desideri avendo sottomano tutti gli appunti su sensazioni, parole e pensieri che hanno innescato l’abitudine.
I 15 minuti, infine, ci dicono molto sul nostro desiderio. Se 15 minuti dopo aver bevuto una bevanda che non sia il caffè, sentiamo ancora con urgenza il bisogno di alzarci, il nostro desiderio non era quello di un po’ di energia, ma forse quello del contatto sociale. Se 15 minuti dopo aver fatto una piccola pausa con i colleghi, senza prendere un caffè, non sentiamo la necessità di un caffè, significa che abbiamo soddisfatto il nostro desiderio attraverso la socializzazione. E che il nostro vero desiderio non era un caffè.
Insomma, sperimentare con diversi tipi di ricompense permette di isolare i desideri autentici che sono alla base dell’innesco di una routine e, quindi, di un’abitudine.
3. Isola il segnale
Una volta comprese la routine e la ricompensa, non resta che identificare il segnale. Si tratta di un’operazione più difficile e delicata perché, spiega l’esperto, siamo immersi in un contesto saturo di una grandissima quantità di informazioni. Informazioni che interagiscono con i nostri comportamenti e con le nostre decisioni. Facciamo colazione ad una certa ora perché abbiamo fame o perché i nostri figli la fanno a quell’ora? O perché l’orologio ci indica un determinato orario? Perché svoltiamo automaticamente a sinistra, tornando a casa dal lavoro? Lo facciamo perché vediamo un segnale stradale che ce lo indica? O perché un albero o un dettaglio della strada ci segnala che quella è la strada giusta? O tutte queste cose insieme?
Oltre il rumore delle informazioni: 5 categorie
Per isolare il segnale in mezzo a tutto questo rumore di informazioni, è possibile usare un sistema psicologico che consiste innanzitutto nell’identificare delle categorie di comportamento. Queste ci aiuteranno a valutare l‘esistenza o meno di pattern. Le cinque categorie individuate dagli studi scientifici a cui l’autore di The Power of Habit suggerisce di fare riferimento sono 5. A ciascuna di esse corrisponde una domanda, la cui risposta dobbiamo appuntarci.
Luogo – Dove sei?
Tempo – Che ore sono?
Stato emotivo – Qual è il tuo stato emotivo?
Altre persone – Chi c’è vicino a te?
Azione immediatamente precedente – Quale azione hai svolto appena prima di sentire l’urgenza che ha dato inizio alla routine?
Ripetere questo esercizio per diversi giorni, ci restituirà una sorta di report dal quale saranno evidenti delle differenze, ma anche delle costanti: emergerà, ad esempio, qual è la l’urgenza, la spinta, il desiderio ricorrente, il segnale che attiva il comportamento abitudinario.
4. Creati un piano
A questo punto il loop che governa l’abitudine è venuto a galla: abbiamo identificato la ricompensa e il desiderio ad essa connesso, il segnale che attiva il circolo, più o meno vizioso, e il comportamento di routine. Ma come cominciare concretamente a modificarlo?
Occorre pianificare il segnale, spiega Duhigg, e scegliere di conseguenza un comportamento che produce la ricompensa che desideriamo. E per fare questo serve, appunto, un piano.
Se l’abitudine, in fondo, non è che una scelta che abbiamo deliberatamente compiuto in un’occasione e che, in automatico, continuiamo a svolgere, si potrebbe spiegare con una sorta di formula: “Quando vedo il segnale, mi comporterò in tal modo, per ottenere una ricompensa.”
Per cambiare abitudini, cambia l’ordine dei fattori
Perché il risultato finale di questa formula cambi, in sostanza, dobbiamo modificarne i fattori: nello specifico dobbiamo ricominciare a fare scelte consapevoli. Ecco perché pianificarle attraverso quelle che sono definite “intenzioni di implementazione” lo rendono possibile.
Il consiglio pratico dello studioso è, ancora una volta, quello di mettere nero su bianco una pianificazione:
Alle 11.00, ogni giorno, mi alzerò, andrò alla scrivania di un collega e parlerò con lui per 10 minuti.
A supporto di questa pianificazione, possiamo persino impostare una sveglia che ci ricordi di svolgerla.
Giorno dopo giorno, questa routine, dapprima in maniera più consapevole, poi in maniera più automatica, andrà a sostituirsi a quella del caffè o di comportamenti time consuming o che ostacolano il benessere sul posto di lavoro o la performance di team, reparti, intere organizzazioni.
“Quando conosci come opera un’abitudine, quando sai
diagnosticare il segnale, la routine e la ricompensa, tu la puoi governare.”
Fonte: Performance Strategies