Che si tratti di una campagna pubblicitaria, di un post sui social o di un’interazione diretta, non basta saper cosa dire, ma conta anche sapere in che modo dirlo. Se si parla di marketing e comunicazione aziendale, questo diventa un vero e proprio asset strategico che consente di ottimizzare i touchpoint con i clienti e raggiungere con più facilità gli obiettivi di conversione.
Come osserva Jonah Berger, Marketing Professor alla Wharton University e uno tra i maggiori esperti internazionali di influenza e consumer behavior, le parole non sono mai neutre e anche il minimo aggiustamento linguistico ha un impatto significativo su ciò che diciamo. Ad esempio, se diciamo “raccomandiamo”, invece di “ci piace”, aumentiamo del 32% la probabilità che un prospect segua un nostro consiglio.
Parole e decisioni d’acquisto: un framework
Se usate strategicamente, le parole influenzano non soltanto il comportamento delle persone e questo significa, nello specifico, anche le loro decisioni d’acquisto.
Un messaggio, insomma, può diventare un strumento di persuasione: sulla base della nuova scienza del linguaggio, disciplina che esplora l’impatto del linguaggio sul comportamento umano, il professor Berger ha sviluppato un modello per mettere a punto comunicazioni efficaci e convincenti. Questo modello si chiama SPEACC e ne approfondiamo di seguito le prime tre caratteristiche, e altre 3 nel successivo articolo che troverai online nei prossimi giorni.
1) Parla la lingua del cliente
Uno dei primi pilastri del modello SPEACC è il concetto di somiglianza e differenziazione nel linguaggio.
Che cosa si intende per somiglianza? Usare un registro linguistico familiare e appropriato per il nostro target di riferimento gli segnala in modo sottile, ma molto potente che il nostro brand “parla la sua stessa lingua”. Al contempo, la differenziazione linguistica è molto importante, soprattutto nel web, saturo di contenuti, dove tutti siamo continuamente bombardati da messaggi che cercano di catturare la nostra attenzione. In questa “confusione”, un linguaggio diversificato, che non ci aspettiamo, è in grado di attrarre interesse: i messaggi sono più coinvolgenti, oltre che facili da ricordare.
Inoltre, secondo Berger, quando si producono contenuti è importante fare attenzione alla progressione delle idee che presentiamo, in base all’obiettivo che vogliamo raggiungere. Per scopi di intrattenimento, ad esempio, esporre i concetti in modo graduale e incrementare l’entusiasmo nel tempo è un metodo efficace perché coinvolge emotivamente le persone. Al contrario, se vogliamo trasmettere informazioni e notizie in modo chiaro, adottare un ritmo più lento che approfondisca le tematiche è l’approccio che genera un impatto sicuramente più significativo su chi ci legge.
2) Fiducia e relazioni: l’arte di fare domande
Instaurare un rapporto di fiducia con il cliente è uno dei pilastri del marketing. Nel modello SPEACC, la fiducia parte dal saper porre domande, ma non semplici domande: quelle giuste, al momento giusto. Con le domande giuste possiamo raccogliere informazioni chiave sui nostri utenti e orientare così il tiro delle nostre strategie. Ma possiamo anche dirigere il flusso di conversazioni che si sviluppano online e influenzare le interazioni che ne conseguono.
Con domande di follow-up, ad esempio, possiamo dimostrare al pubblico che lo stiamo ascoltando attivamente e che siamo disposti a cogliere – oltre che a soddisfare – le sue esigenze. Start safe, then build: invece di sopraffare il cliente con messaggi troppo diretti o invadenti all’inizio – spiega Berger – è meglio avviare il dialogo con domande più generiche per spostarsi poi, in modo graduale, verso argomenti più complessi e personali.
La stessa gradualità vale anche quando qualcuno si iscrive alla nostra newsletter: invece di inviare subito un messaggio di vendita aggressivo, possiamo offrire contenuti informativi, che rispondano alle domande e alle esigenze più primordiali – come articoli di blog o guide. Così possiamo stabilire una relazione di fiducia e introdurre, man mano, contenuti più focalizzati sui prodotti o sui servizi che offriamo, senza il rischio che chi ci legge si disiscriva dalla mailing list o perda interesse verso il brand. Le persone, infatti, sono e saranno sempre più propense a fidarsi e ad aprirsi con chi si dimostra interessato ai loro bisogni e desideri. E questo vale anche quando si tratta di un’azienda.
3) Emozioni: il motore dell’azione umana
Le emozioni sono il motore dell’azione umana e il linguaggio ha la capacità di evocarle in modo potente. “Le storie migliori mescolano alti e bassi. Quindi, per aumentare il coinvolgimento, sappi anche quando essere negativo e quando positivo” – ricorda ancora il Marketing Professor della Wharton University nel suo libro Magic Words. Parlare degli errori commessi lungo il percorso può rendere il messaggio più umano, autentico, capace di entrare in empatia. Al contempo, alternare momenti di maggior concitazione e calma – creando una sorta di “montagne russe” – mantiene alto e costante l’interesse del cliente.
Attenzione al contesto
Quando si cerca di persuadere, però, non basta raccontare una storia: è importante considerare il contesto in cui si opera. Il linguaggio emotivo può aiutare in “ambiti edonistici”, come film e vacanze, ma si “ritorce contro in ambiti più utilitaristici”, come nel campo dei software, in cui il linguaggio cognitivo fa da padrone.
Le parole giuste, poi, possono rendere qualsiasi argomento o presentazione più catching. Evocare emozioni incerte (tipo ansia e sorpresa) mantiene le persone coinvolte, poiché quando provano queste sensazioni sono maggiormente propense a essere attente a ciò che può risolvere la situazione di ambiguità nel quale si trovano. Le emozioni certe, invece, sono meno ingaggianti in quanto l’utente si trova in un contesto definito, dove non ha bisogno di una risposta ai suoi dubbi. Per questo motivo, è utile usare un linguaggio che stimoli la curiosità e sappia creare un gap di conoscenza.
Fonte: Performance Strategies