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Personal Branding di Sebastiano Zanolli

Promesse e miracoli di una tecnica che promuove noi stessi e la nostra attività, per distinguersi e non estinguersi. Quattro regole per creare fiducia in chi siamo e cosa facciamo.

A parlare di “Personal Branding” ultimamente non sbagli mai. Esiste un fiorire di corsi, convegni, webinar dove, a volte con successo a volte meno, si insegna come distinguersi per non estinguersi. Si discute di come applicare alla promozione della persona alcune tecniche di marketing che fino a ieri sembravano appannaggio solo dei marchi aziendali.

Non lo nego, il tema mi appassiona parecchio: è uno di quei fenomeni che caratterizza un’epoca e che ci apre un universo di possibilità.

La competitività dei mercati e tra gli individui è un’onda crescente, che magari può non piacere, ma resta un dato di fatto. Imprenditore e dipendente non sono mai stati così simili, così esposti ai medesimi pericoli e alle medesime occasioni.

Non riconoscere la necessità di considerare se stessi come una attività imprenditoriale, che raggruppa in un unico individuo l’amministratore delegato, il direttore marketing e tutte le altre funzioni aziendali, è un segno di miopia, e non resterà senza conseguenze, se si vuole partecipare al grande gioco del mercato. Che poi è il gioco del vendere soluzioni.

Tutti siamo venditori, ed il bello è che non è uno slogan, ma una foto del momento.

Bene, il personal branding è la capacità di vendere se stessi e le soluzioni che si propongono.

Avere delle soluzioni è però il requisito minimo, perché altrimenti non si dura sul mercato trasparente dei nostri giorni. La capacità di promuoversi è quel “di più” che ci tira fuori dalla mischia. Non esiste nessuna tecnica di personal branding che funzioni se non si rispetta il patto di fiducia con il fruitore dei tuoi beni e servizi. Per fare in fretta a dimenticarlo, possiamo pensare alla faccia di Bernard Madoff durante la lettura della sentenza che lo condannava a 150 anni di carcere per truffa.

In parole povere, puoi promuoverti quanto bene vuoi, ma se non mantieni, o meglio ancora, se non sorpassi la consegna del valore promesso, il personal branding diventa solo una bella cravatta.

Un vezzo che nei bei tempi della domanda infinita rendeva tutti venditori, ma che nell’era della domanda in discesa diventa un indizio che al cliente sospettoso fa pensare: “Bella cravatta, ma non è che ti serve perché non sai mostrarmi cosa risolvi?”.

“Dai, mantieni la promessa e poi diventiamo amici magari per tutta la vita. Mi servono amici che mi aiutino a semplificarmi l’esistenza, e per questo pago volentieri”.

Certo non è facile. Se lo fosse, l’economia di mercato non sarebbe il gioco che l’umanità ha scelto per migliorare. Ma oggi è più complesso. Pochi soldi, poco tempo, poche energie si disperdono in mille rivoli, e richiedono azioni di personal branding che diano una certa garanzia di successo. A parte che di garantito, nel mondo dei default delle nazioni, c’è poco.

Ho provato a mettere assieme alcune buone pratiche per fare amicizia con il personal branding.

Senza la pretesa che siano esaustive, ma con l’augurio che siano una piattaforma da cui partire e approfondire.

Sono pratiche destinate a fare crescere la fiducia e a creare quel miracolo in cui tu non vendi più, è il cliente che compra. E per quanto mi riguarda è l’apoteosi dell’eleganza nell’arte della vendita. È quello che accade quando chiudi il cerchio delle esigenze e fai felici tutti in un colpo solo. Cosa rara ma di soddisfazione infinita, perché oltre al guadagno economico dà un reale senso alla tua missione di venditore.

1. Promettere meno, mantenere molto
La fiducia si basa sulle percentuali, più che sulle dimensioni
. Un modo per alzare le percentuali è promettere meno e mantenere molto.

Se avete concorrenti che fanno meglio di voi, vi converrà alzare l’asticella e fare più promesse, ma se ritenete di non farcela, agite sul piccolo, e tenete il vostro punteggio di rispetto delle promesse il più alto che potete. Pensate al fatto che avete scelto i vostri veri amici sempre sulla base dello stesso principio.

2. Ogni attività è un’opera creativa
Considerate l’attività che svolgete, qualsiasi sia, un’opera creativa
. Pensarsi come artisti vi permette di aggiungere valore alle vostre promesse. Consegnare un campione può essere fatto in tanti modi, e ogni modo vale più o meno.

Come avrebbe consegnato un campione Dante o Van Gogh o come lo consegnerebbe Mike Jagger o Philippe Stark? È di diversità che si nutre il rapporto fiduciario. E se non riuscite a essere diversi, allora siate uguali, ma approfondite ed esaltate la perfezione del gesto tradizionale. C’è valore anche nella tradizione, purché sia eseguita più che perfettamente.

3. Dare valore senza tornaconto
Iniziate a fornire valore senza pretendere corrispettivi immediat
i. La fiducia è un atto con cui si prendono dei rischi. Fornire informazioni e supporto senza legarli a un tornaconto subitaneo accresce la predisposizione del prossimo a concedere ulteriori opportunità.

4. Le critiche nascondono interesse
Accettate di venire criticati per essere un brand. Il che non significa disinteresse per coloro a cui non piacete. Anzi. Accettate il confronto, e spiegate chi siete e cosa rappresentate. La fiducia nasce anche per contrasto, quando chi vi sta davanti legge la coerenza tra pensiero e azione.

Può non essere immediato, ma la critica nasconde interesse. Dall’interesse soddisfatto attraverso un conflitto nascono rapporti, a volte i più duraturi.

Non è una lista definitiva. Sono quattro pilastri su cui appoggiare il basamento della fiducia. Il resto lo faranno la visibilità e il network che attiverete.

Il personal branding è una attività stimolante e divertente. Servono approfondimento e applicazione, come per tutte le discipline.

“Il tuo brand è quello che dicono di te quando tu non sei nella stanza.” (Jeff Bezos, fondatore di Amazon)

Vi auguro di appassionarvi, perché potreste rendere la vostra vita e quella degli altri un po’ più densa, creativa, elegante. Come farebbe un artista.

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